Non solo un semplice mestiere, ma un intero modo di vivere. Così Tiziano Terzani avrebbe voluto essere ricordato nella sua lapide. Nell’affrontare il tema del viaggio, non si puo’ non ricordare la figura di quest uomo, appassionato del viaggio nella sua essenza. Viaggio che nasce dalla ferrea volontà di scoprire, capire le differenze, saperle raccontare e anche denunciare.
L’uomo Terzani non nasce come viaggiatore: al contrario si laurea in giurisprudenza e lavora per la Olivetti occupandosi di personale estero. Grazie ad una lauta borsa di studio riesce a licenziarsi dall’impiego e occuparsi della sua più grande passione: l’Oriente e la Cina in particolare.
“Ci andai in cerca dell’altro, di tutto quello che non conoscevo, all’inseguimento d’idee, di uomini, di storie di cui avevo solo letto”
Si trasferisce in Asia come corrispondente di un giornale tedesco ed inizia vari reportage. Nel 1973 pubblica Pelle di Leopardo, sulla guerra in Vietnam. In seguito ha l’opportunità di conoscere la civiltà cinese e guardare da vicino il grande esperimento socialista di Mao. Si stabilisce con la famiglia in varie città: Pechino, Tokyo, Singapore,Hong Kong, Bangkok e Nuova Delhi. In Cina verrà arrestato per “attività controrivoluzionarie” e lui e la sua famiglia verranno espulsi. Da questa esperienza nasce La porta proibita (1985).
Si reca nei luoghi più difficili ed ostili del continente asiatico e scrive, scatta foto, va a cavallo o in bici – instancabile – tra rovine dell’antichità e inquietanti simboli della modernità.
Sul crollo dell’impero sovietico pubblica Buonanotte, Signor Lenin (1992). Seguono Un indovino mi disse (1995), cronaca di un anno vissuto come corrispondente in Asia senza mai prendere aerei.
Nel 2004, lacerato dalla malattia, si spegne. Ma prima pubblica L’ultimo giro di giostra (2004) dove racconta il viaggio della scoperta della malattia. E’ l’ inizio di un lungo viaggio alla ricerca di aiuto attraverso civiltà lontane e diverse, ma non solo. Come scrive Terzani:
“a pensarci bene, dopo un po’ il viaggio non era più in cerca di una cura per il mio cancro, ma per quella malattia che è di tutti: la mortalità”
Serena