Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos.
Lo sguardo di Ulisse affronta il tema del viaggio da un punto di vista universale, che si palesa subito dal titolo: Ulisse è il viaggiatore. È il viaggio come archetipo, viaggio dell’umanità intera.
La trama è se vogliamo semplice: un regista, di cui non ci viene detto il nome, parte per la sua terra natia, la Grecia, alla ricerca dei rulli perduti dei fratelli Manakis, padri del cinema greco. Da qui comincia un viaggio che si rifà all’Odissea da tutti i punti di vista. Ruolo determinante hanno le donne, tutte diverse tra loro. Ed è proprio questo l’artificio: la madre, l’amante fugace, la maga Circe, tutte interpretate da un’unica attrice, come se tutte le donne confluissero in un universale femminile.
Questa immagine, invece, è una delle più belle e suggestive del film. Mostra il protagonista mentre viaggia verso Sarajevo con un particolare “compagno”. Il protagonista troverà una Sarajevo devastata dalla guerra, quindi si potrebbe leggere questa scena quasi come una discesa agli inferi, o, dalle persone che salutano la barca, alcuni facendosi il segno della croce, come un rito funebre. Un Ulisse dantesco, come dice Angelopoulos.
Il viaggio del nostro regista è anche un viaggio all’interno di sé: in certi momenti del film prevale il subconscio del protagonista, viaggiando nel tempo, dove si festeggia un capodanno dopo l’altro in pochi minuti.
Questo breve articolo non vuole essere uno studio sul film, troppo complesso per poter essere analizzato su due piedi. Tuttavia, ho voluto delineare quei piccoli particolari che potrebbero spingere il lettore a vedere questo film, a mio avviso uno dei più belli dell’ultimo cinema.
Vi stuzzico un altro po’: la scena finale meriterebbe tutto un articolo a parte.
Giovanni